Dalle nebbie di una Torino fotografata tra gli anni Trenta e Cinquanta del Novecento, riemergono, avvolti da un’atmosfera quasi fiabesca, affettuosa, ironica e caricaturale i coniugi Levi, i loro cinque figli, le balie, le sarte, gli amici, le gioie e i capricci dell’infanzia, ma anche la guerra, l’antifascismo, le perdite. Natalia Ginzburg scrive della sua famiglia e del suo passato rimanendo sempre sullo sfondo, lasciando spazio agli scoppi di rabbia, alle tenerezze, agli “sbrodeghezzi” della figura paterna, alla natura lieta e malinconica della madre, alla fuga di Turati, al mondo intellettuale dell’epoca, al sorriso ironico di Pavese, perso per sempre in un giorno di agosto. Sono le parole, il lessico, gli intercalari, i borbottii, le storie e le battute uniche e irripetibili che caratterizzano ciascun nucleo famigliare, in questo caso il suo, a costituire il filo rosso della narrazione, la fonte del ricordo, e a permettere alla penna dell’autrice di riportare in vita la memoria, le contraddizioni e il ritmo dei tempi che furono riempiendo il cuore del lettore di casa, sorrisi e malinconia.